Quando si parla di intelligenza artificiale, è probabile che il nostro pensiero vada automaticamente al campo della robotica. Un'associazione non del tutto errata, ma che ad oggi potremmo definire semplicistica. Oggi che l'intelligenza artificiale trova applicazione nei campi più disparati. Tra questi, nonostante possa sembrare strano se non controintuitivo, c'è il campo della giustizia. Intelligenza artificiale e giurisprudenza? Sì, e vi spieghiamo come e perché.
La giustizia, è evidente, è una macchina estremamente complessa. Un processo, se ci pensiamo, per quanto banale possa sembrare la questione che va a risolvere, si basa su una quantità di dati ed attori quasi infinita. Per non parlare della mole di documentazione necessaria dall'inizio del procedimento alla sua conclusione. Snellire anche solo un terzo delle operazioni e della produzione di documenti all'interno di una vertenza potrebbe tradursi in un'incredibile velocizzazione dell'intero processo e di risparmio di risorse.
Che l'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale (intesa come la capacità di un sistema tecnologico di risolvere problemi o svolgere compiti o attività tipici della mente e dell’agire umano) nell'ambito della giurisprudenza fosse possibile e anzi auspicabile, si è reso evidente con l'adozione della Carta etica europea nel 2018.
Il documento, come riportava il Consiglio d'Europa all'epoca della sua approvazione, "fissa i principi etici relativi all’uso dell’intelligenza artificiale (IA) nei sistemi giudiziari. La Carta fornisce un quadro di principi che fungono da guida per i decisori politici, i giuristi e i professionisti della giustizia nella gestione del rapido sviluppo dell’IA nei processi giudiziari nazionali. Il punto di vista della CEPEJ, come enunciato nella Carta, è che l’utilizzo dell’IA nell’ambito della giustizia può contribuire a migliorare l’efficacia e la qualità del lavoro dei tribunali. La sua applicazione deve avvenire in maniera responsabile e in conformità con i diritti fondamentali garantiti in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei dati a carattere personale."
La Carta, pur riconoscendo le potenzialità dell'Intelligenza Artificiale nell'affiancamento delle professionalità coinvolte, mette al centro il principio della trasparenza. I soggetti interessati, in pratica, devono comprendere le tecniche di trattamento dei dati e i giudici devono poter controllare i dati utilizzati e le decisioni prese, con la facoltà di discostarsene in qualsiasi momento. Per farla breve, a guidare la stesura e l'applicazione di questa Carta sono stati e saranno cinque principi fondamentali:
Uno dei campi più direttamente interessati dall'intervento dell'intelligenza artificiale è, nella giurisprudenza, quello della giustizia predittiva. Con questa espressione si intende la capacità che l'AI avrà, in un prossimo futuro, di formulare previsioni sull’esito di una causa o affiancare il giudice nella fase decisoria.
Nonostante la Carta etica europea del 2018 abbia tutelato il sistema giudiziario dalla possibilità che l'AI sostituisse del tutto l'intervento umano e che riducesse i processi a meri automatismi, l'intelligenza artificiale trova già ora applicazione (e ne troverà sempre più in futuro) in operazioni meccaniche e "facilmente" replicabili come l'analisi di dati, la predisposizione degli atti, la verifica di competenza, la procedibilità, l’ammissibilità a riti alternativi, i termini prescrizionali e di durata delle misure cautelari e anche il calcolo della pena per ciascun tipo di reato.
Come tengono a far notare alcuni giuristi, l'utilizzo dell'intelligenza artificiale nel campo della giustizia presenterebbe l'innegabile vantaggio di uno snellimento dei procedimenti e di un generale alleggerimento della macchina burocratica. Ciò che però è più difficile da prevedere è l'impatto che il machine learning avrebbe in alcune branche della giurisprudenza in cui il fattore umano è pressocché ineliminabile.
Il campo della giustizia civile, ad esempio, si presterebbe con molta più facilità all'intervento dell'AI rispetto a quanto farebbe ad esempio quello del penale. Analizzare dati semplici ed oggettivi potrebbe infatti portare alla formulazione di un giudizio molto più facilmente corretto ed affidabile. Stessa cosa si può dire della giustizia tributaria, dove a parlare sono molto spesso i numeri stessi.
Ma che dire del penale? Qui le cose si complicano, e non è difficile immaginare che ai processi di machine learning dovrà continuare ad essere affiancata la decisione umana. Come fare, ad esempio, per insegnare ad una macchina a riconoscere il teste che presta falsa testimonianza? Oppure, come fa notare l'avvocato Alessandro Traversi di Altalex, "perché il computer è programmato per fornire risposte certe, non può avere dubbi, mentre nel nostro ordinamento vige il principio, sancito dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., secondo il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna “se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio” e deve invece assolvere qualora detto parametro non sia superato."
Per concludere, è molto improbabile che in un futuro sia prossimo che remoto i giudici siano sostituiti dai robot, ma non bisogna escludere una futura collaborazione tra uomo e macchina anche in un campo in cui mai avremmo potuto immaginare di avvalerci dell'aiuto dell'intelligenza artificiale.
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