Ottenere informazioni da Internet è come servirsi un drink da un idrante. (Mitchell Kapor)
Ci avete mai provato? Una simile metafora non necessita di troppe spiegazioni: è difficile riuscire a versarsi il proprio piacevole, piccolo drink, quando ci si serve da un getto potente e incontrollabile. Allo stesso modo è difficile riuscire ad ottenere informazioni specifiche e realmente utili online quando si rischia di essere travolti dal getto dei contenuti che costituiscono l’insopprimibile rumore di sottofondo di Internet. Quali sono gli effetti di questa sovrabbondanza di informazioni sull'utente finale?
Con l’avvento di Internet si sono letteralmente moltiplicate le possibilità di informarsi, tanto sono aumentati i canali a nostra disposizione. Se l’impostazione classica prevedeva al massimo un paio di opportunità giornaliere per conoscere le ultime notizie, rappresentate dal quotidiano e dal telegiornale della sera in tempi più recenti, la modernità ha portato con sé diversi media che, combinati, danno luogo ad un totalmente rinnovato panorama informativo. Ogni cittadino può ricercare le informazioni nel modo e nei tempi che preferisce, in accordo con le sue abitudini di consumo, con i suoi interessi e con il suo bagaglio di conoscenze.
Si parla in questo caso di patchwork mediale, un puzzle i cui tasselli sono costituiti dalle varie fonti di informazione che l’utente accosta per delineare i contorni della sua visione del mondo. Ne derivano punti di vista differenti, spesso discordanti, coerenti per il singolo fruitore. Il mix di media viene ricucito in modo personale a formare una figura che abbia senso per l’utente.
L’odierno panorama informativo, ma in generale la dimensione digitale degli ultimi anni, genera però quattro tipi di problematica:
L’information overload è la più chiara manifestazione del fatto che l’abbondanza di informazioni disponibili per i consumatori è velocemente passata da risorsa a problema. Il fenomeno, anche conosciuto come sovraccarico cognitivo, è caratterizzato dall’incapacità dell’utente di gestire la quantità di tempo trascorso online e di processare le informazioni ricevute in rete. Inizialmente la ricerca online parte con un intento ed uno stato d’animo positivo, tanto è concreta la possibilità di reperire le informazioni ricercate, ma presto lo stato d’animo e la ricerca stessa cambiano e cadono in un circolo vizioso nel quale sembra impossibile smettere di navigare. Ogni informazione, su ogni sito web visitato, è collegata a molte altre, correlate o meno, e la tentazione di leggere un altro articolo, guardare un’altra fotogallery e godersi un altro video si trasforma presto in una perdita del controllo e di tempo e in una frustazione sempre più profonda.
A fare notizia sono sempre le solite tre s: soldi, sesso e sangue. Quest’ultimo, però, sembra farla da padrone incontrastato. Qualsiasi notiziario, in qualsiasi formato e da qualunque dispositivo, tende a dare uno spazio assolutamente sproporzionato a notizie di cronaca nera, stragi, catastrofi o comunque eventi di natura negativa. Le buone notizie, quando non del tutto assenti, sono solitamente relegate nella parte finale del notiziario o nelle ultime pagine del giornale, molte testate online dedicano loro una sezione apposita, forse riservata a chi proprio non ce la fa più: in ogni caso non vengono messe in risalto, come fossero di secondaria importanza.
Secondo Annamaria Testa, di Internazionale, la rilevanza concessa alle cattive notizie è dovuta in parte alla spietata concorrenza nel mondo dell’informazione. Con la difficoltà di vendere informazioni ad un pubblico che è praticamente assuefatto alla loro continua ricezione, anche involontaria, cresce la necessità di amplificare il meccanismo della straordinarietà.
Questo tipo di notizie, che è il più gettonato nell’informazione dei nostri giorni, non può non avere alcun effetto sugli spettatori, ascoltatori o lettori che siano. Potremmo citare gli omicidi, le guerre o le epidemie, ma come dimenticare l’enfasi riservata a catastrofi naturali come alluvioni e terremoti, lo spazio dedicato agli attentati terroristici, l’accento posto sulle tensioni di politica internazionale. Tutto questo genera nel fruitore quella che Enrico Cheli definisce intossicazione emozionale.
Nel saggio Gli effetti collaterali dei media questo disturbo, sconosciuto alle generazioni che ci hanno preceduto, si presenta quando, esposti ad una quantità eccessiva di contenuti emozionalmente pesanti come violenza, dolore, orrore, perversione e disperazione, reagiamo producendo stati di allerta, paura, disgusto, nausea e tensione muscolare. La tensione continua ed i conseguenti disturbi del sonno, dall’insonnia ai veri e propri incubi, possono sfociare in malattie psicosomatiche da non sottovalutare. Tra i contenuti emozionalmente intossicanti al primo posto ci sono quelli che danno particolare rilevanza ad episodi di violenza.
Molto più grave dell’intossicazione emozionale, che può essere circoscritta nel tempo, è l’information anxiety, o sindrome ansiosa da cattive notizie. Giorgio Maria Bressa, psichiatra e docente di Psicobiologia del Comportamento, spiega che dopo un’eccessiva esposizione mediatica ad episodi spiacevoli o particolarmente drammatici, il cervello ha principalmente due reazioni: “una di indifferenza con la perdita di empatia e compassione, un metodo difensivo per mantenere l’equilibrio e passa attraverso ad un meccanismo di distacco, e un altro che assorbe le negatività sviluppando ansia, insicurezza sino a depressione ed attacchi di panico”.
Le differenze tra l’intossicazione emozionale e l’information anxiety sono sostanziali: la prima deriva dall’osservazione di fatti realmente accaduti e produce conseguenze a breve termine, la seconda invece è una sindrome a lungo termine ed è prodotta non da un singolo evento ma dal quotidiano accumulo di cattive notizie, che distorce la visione della realtà del soggetto e lo rende ansioso, pessimista e generalmente convinto di vivere in un mondo brutto e pericoloso.
Come sottolinea Cheli, “con la sua eccessiva insistenza sulla cronaca nera e più in generale su tutto ciò che va male nel mondo, il giornalismo contribuisce molto a creare o rafforzare una visione della realtà cupa e minacciosa. In effetti, poiché formiamo la nostra immagine del mondo anche in base a ciò che vediamo attraverso la finestra dei media, il "nostro" mondo ci apparirà inevitabilmente tremendo, dovremo stare attenti a mettere il naso fuori della porta, perché potrebbero esserci maniaci sanguinari nascosti dietro ogni angolo, pedofili in ogni giardino, madri degeneri, rischi di contrarre terribili malattie etc.”
Analizziamo per un attimo cosa si può fare di concreto per superare l’information anxiety, o sindrome ansiosa da cattive notizie. I consigli ci vengono da Enrico Cheli, che in qualità di psicoterapeuta ha tutti gli strumenti per indicare la strada a chi è arrivato ad avere addirittura paura dell’informazione:
In conclusione si può ancora fare molto per migliorare i media ai quali ci affidiamo quotidianamente, ma si può ancora fare molto non solo per far sentire la propria voce e apportare cambiamenti positivi nel campo dell’informazione, ma anche per difendersi quando ci si sente sopraffatti o quando lo specchio del mondo che i media vogliono rappresentare non riflette più la nostra immagine.
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